La storia svolge un ruolo portante nella costruzione del pensiero filosofico e di quello scientifico dell’infermieristica: l’antropologia si intreccia per andare a comporre un mosaico fatto di avvenimenti e riflessioni non solo di professionisti ma anche di “normali “esseri umani” che hanno vissuto l’esperienza di “malattia”.
Per descrivere il cambiamento che è avvenuto nella pratica della medicina degli ultimi vent’anni uno storico americano ha fatto ricorso a un’immagine efficace: attorno al malato si sono affollate molte persone, professionisti di diversa formazione, dei quali in passato non si sentiva affatto necessità.
“Estranei al capezzale” (Strangers at the bedside): è l’istantanea che David Rothman ha posto come titolo del libro dedicato alla trasformazione della pratica della medicina nel mondo occidentale.
La Narrazione di Cura
In nome dell’umanizzazione delle cure sono accorsi, nella bioetica, i filosofi che, dal mondo rarefatto dei dibattiti accademici, si sono esposti per dare risposte a problemi concreti e pratici, come per le questioni etiche legate alle decisioni cliniche, alla ricerca della salute, alla vita e alla morte.
Giuristi ed esperti di diritto sono intervenuti per dirimere questioni di malpractice, per riformulare le regole che sovrintendono alla somministrazione delle cure sanitarie mediante il ricorso alla categoria dei “diritti”, per definire i limiti del “consenso informato” alle procedure diagnostiche.
Quello che avviene tra il medico e il malato è stato sottratto alla sacralità di un rapporto che si nutriva di segretezza, per essere riportato in piena luce.
Un po’, ha fatto notare con una punta di sarcasmo, lo storico della medicina Albert Jonsen come avviene nelle culture più arcaiche, dove l’atto di guarigione è realizzato in pubblico e “guardare il dottore” è una delle attività sociali predilette dalla folla. La quale spesso è “folle”, ossia rinchiusa nella sua “psicopatologia del quotidiano”.
Una reazione “umana” di fronte alla complessità tecnica e sanitaria è quella di limitarsi agli aspetti tecnici, sviluppando un “virtuoso” tecnicismo, in cui fare “bene” equivale a concentrare il proprio interesse sulla dimensione dell’efficacia della prestazione offerta. Più in generale, posizioni di questo genere, sono riconducibili al cosiddetto “codice Hemingway”.
Il Codice Hemingway
Secondo il celebre scrittore, una delle ripercussioni nelle situazioni in cui non si vede via d’uscita, come quella a cui si riferisce più specificatamente, ossia la guerra civile in Spagna, descritta in Per chi suona la campana?, è di indurre a concentrare tutto il proprio impegno nel fare ciò che si fa così come deve essere fatto. Senza “distrarsi” con questioni relative al significato e allo scopo della propria azione.
Combattere “bene” è tutto l’ideale del combattente, mettendo da parte la domanda circa il perché si combatte. “Quando spari non pensare che spari a un uomo, ma che colpisci un bersaglio”: è il consiglio che riceve da un vecchio miliziano il protagonista del romanzo, ancora troppo turbato da i suoi dubbi etici e morali per poter aderire pedissequamente al sistema.
La versione militare e omicida del “codice Hemingway” può suonare offensiva per i medici che si dedicano a salvare la vita dei malati. Tuttavia evoca efficacemente una scelta diffusa nel mondo sanitario: sopraffatti dalla complessità, molti professionisti si concentrano sulla parte meramente tecnica, evitando di confrontarsi con gli aspetti inerenti l’antropologia della cura e la capacità di “entrare in empatia con l’altro”.
La Medicina Antropologica
Il medico-filosofo Viktor von Weizsäcker, padre della “Medicina antropologica”, afferma che, se non si desidera perdere la propria identità bisogna confrontarsi con i concetti di “salute e malattia”, guarigione e benessere, cura e prevenzione, giustizia e ingiustizia. Sono concetti di questo tipo che danno alla medicina il suo spessore antropologico. E ne assicurano la qualità.
La medicina e il nursing narrativo divengono, così, fonti etnografiche fondamentali per approfondire le radici culturali e la direzione di ricerca dell’infermieristica (oltre che della medicina).
Tutto ciò entra nella più vasta esperienza della narrazione come cura: il momento in cui sentiamo il desiderio di raccontarci è segno inequivocabile di una tappa della nostra maturità culturale e professionale.
L’esperienza della malattia trova nella scrittura la sua più eloquente espressione:
Io ero fatta di prati verdi di lucciole della notte. Ma qualche adulto bambino ha preso in mano il grillo, la lucciola e la cicala che erano in me. Alcuni falsi poeti chiudono i grandi nel pugno della curiosità e non sanno che anche nel grillo vive presente un’anima”.
Questa poesia si intitola L’anima ed è di Alda Merini, poetessa che ha vissuto la malattia psichiatrica con anni di manicomio; la scrittura, per Alda, è senz’altro una testimonianza della possibilità di cura che essa offre.
L’antropologia utilizza la ricerca sul campo che è il metodo caratterizzante nella produzione di un lavoro intellettualmente originale, in cui il fondamento metodologico si esprime attraverso le nuove frontiere della “medicina narrativa” come testimonianza di “ascolto attivo” del vissuto psicologico e demo-etno-antropologico del paziente.
Il Nursing narrativo
La medicina e il nursing narrativo si inseriscono nel lavoro etnografico senza soluzioni di continuità e l’antropologia medica trova un’espressione unica. Good propone un approccio narrativo in cui i resoconti di sofferenza non vengano concepiti come momenti in cui i soggetti rappresentano la loro esperienza, quanto come dispositivi attraverso i quali si costruisce l’esperienza stessa.
La narrazione vede la scrittura “in funzione di una migliore relazione terapeutica”. Molti studiosi suggeriscono il metodo narrativo come possibilità di mettere in evidenza “la centralità della persona e di ampliare la visione della malattia in una prospettiva analogica ed olistica, scevra dai consueti tecnicismi e virtuosismi “pro-sistema”.
L’esperienza quotidiana di tanti professionisti è la sintesi tra mondo scientifico e quotidianità. Essa è come una voce narrante che fa convergere nelle parole il fluire del tempo, del sapere e della stessa esistenza umana. La voce del cantastorie racconta l’altra faccia delle cose: quella nascosta dietro i fatti storici, i personaggi famosi, i miti e le leggende. Destini molto diversi da quelli che credevamo di conoscere svelano una verità umana più profonda e sottile, andando a rompere i muri di divisione che le diverse culture si sono costruite.
Infermieristica, medicina, storia, antropologia ed etnografia compongono un interessante mosaico e, unitamente alla fondazione epistemologica, delineano come testimonianze concrete il nuovo “paradigma”del prendersi cura, con cura.